Ho aperto questo libro nel momento esatto in cui non mi aspettavo la
sua venuta. La cecità intesa non come una malattia, l'incapacità di vedere o
percepire le cose, piuttosto patina che stempera ogni cosa in una specie di strana
dimensione, senza direzioni ne riferimenti.
Mi sono trovata immersa in un biancore luminoso, talmente destabilizzante
da divorare, più che assorbire, non solo i colori ma le stesse cose, così
invisibili agli occhi. In tutto ciò, l'individuo come massa instabile di pelle
e ossa, indifferenza e cattiveria, con cui giudica con occhio critico ciò che
lo circonda.
Non c'è stato nient'altro, eppure è stato tutto a portata di mano:
mi è bastato allungare una mano per avvertire le loro paure, ascoltare i loro
pensieri, scrutare a fondo i propri sentimenti. I primi giorni di dicembre mi hanno
vista aggirarmi fra gruppi di anime vagabonde e solitarie quasi spinta da una mano
gentile ma attenta. E mentre gli occhi non si staccarono mai dall'intero romanzo
se non fino a quando avessi scoperto che fine sarebbe spettata ai personaggi di
questa storia, ho letto queste pagine come se animate di volontà propria. Un
processo naturale, come l'atto del respirare.
Titolo: Cecità
Autore: Josè Saramago
Casa editrice: Feltrinelli
Prezzo: 9, 50 €
N° di pagine: 288
Trama: In un tempo e un luogo non precisati, all'improvviso l'intera
popolazione diventa cieca per un'inspiegabile epidemia. Chi è colpito da questo
male si trova come avvolto in una nube lattiginosa e non ci vede più. Le reazioni
psicologiche degli anonimi protagonisti sono devastanti, con un'esplosione di
terrora e violenza, e gli effetti di questa misteriosa patologia sulla
convivenza sociale risulteranno drammatici. I primi colpiti dal male vengono
infatti rinchiusi in un ex manicomio per la paura del contagio e
l'insensibilità altrui, e qui si manifesta tutto l'orrore di cui l'uomo sa
essere capace.
La recensione:
Siamo totalmente
lontani dal mondo che fra poco cominceranno a non sapere più chi siamo, neanche
abbiamo pensato a dirci come ci chiamiamo e a che scopa, a cosa ci sarebbero
serviti i nomi?
Giunse
il momento in cui dovetti tornare fra le pagine di uno dei romanzi più memorabili
della letteratura moderna e io non avevo ancora avuto modo di prendere consapevolezza
della cosa. Quasi ogni giorno nuovi amici d'inchiostro vengono a bussare alla
mia porta. Prima la copertina, che nella maggior parte dei casi dice poco o
niente, poi la voce carezzevole di un uomo che si presentò con circospezione
dinanzi al mio cospetto non informandosi su niente e nessuno, ma avvicinandosi
presentandomi una storia che in un certo senso ha << contaminato >>
anche me. Cecità è stata una lettura
straordinaria, e sono davvero felice aver rivissuto e sentito la storia di Saramago
come una seconda pelle.
In
tutto questo non sospettavo minimamente che la sua anima fosse così profonda,
tragica, drammatica, quasi romantica; cinque anni fa non ero riuscita a
cogliere nella sua interezza tutto questo, ma ho avvertito come la piacevole
sensazione che il mio interesse per questa storia sarebbe mutato in un
sentimento di profondo rispetto, quasi devozione. Io ho ascoltato l'autore consapevole
che l'avrei ascoltato, ma ho ascoltato anche le sue pazze creature convinta che
loro al contrario non potessero udirmi.
Cecità sarebbe rimasto
dentro di me, per un po' di tempo.
Qualche
ora dopo la sua lettura, eccomi qui ancora senza fiato. Stupita, indignata,
sotto una tettoia grigiastra e polverosa, in mezzo a una processione di morte
in cui la speranza di scovare un posto per la beatitudine eterna è lontana e
inimmaginabile. Non è il soffitto della mia camera, dipinto di un bianco immacolato.
Il cielo che ho visto mi si è appiccicato addosso, non ha avuto nessun limite.
Ero
forse tornata a un luogo che avevo visto fugacemente qualche anno fa? Certo che
si! In una perpetua collisione fra giusto e sbagliato, chiaro e scuro, dipanato
mediante parole che non fanno differenza, distinzione, ma conducono in mezzo a
un bianco lattigginoso, luminosi. Si perde completamente il senno, si scende
verso un buco tenebroso da cui non si riesce a scorgere nemmeno la luce. Le
tenebre erano una massa densa che si era appiccicata al mio viso, mentre il
cuore risuonava come un immenso tamburo?
La
lettrice appassionata che è in me si è aggrappata ai ricordi del suo passato,
come sbuffi di vapore nell'atmosfera. Convivere con l'idea che ci siano un
mucchio di persone che conducono un'esistenza tremenda, egoisti e crudeli annegano
in un pozzo oscuro e profondo delle convenzioni sociali, non equivale a un caldo
invito per l'inferno? Tutto sommato, cosa c'è di tremendo in questa storia?
Riflettendoci, assolutamente niente di così sconvolgente. Ma un popolo che si
bea di menzogne, di egoismo e indifferenza, di solitudine e cinismo, non
dovrebbe essere un buon esempio per coloro che non hanno ancora seguito la massa?
La speranza che tutto può accadere e cambiare gallegia come minuscole particelle.
La Cecità come condizione che prosta un intero popolo ai disagi, alle
sofferenze, all'adattamento. La Terra saramaghiana mi aveva completamente
risucchiata.La paura dei suoi poveri abitanti striscia ancora sotto i miei
occhi. Il mondo era una terra desolata ricoperta di cenere, ossa e rifiuti, mancanza
di vita e gioie illusorie.
C'è
stato qualcosa di meraviglioso, una sensazione inspiegabilmente bella e positiva
- sebbene di positivismo non si può parlare - alimentata col tempo fra le pagine
di Cecità. Ho intravisto uomini e
donne porgere un caro saluto a divinità a cui non credevono forse più, consapevole
che fossi scortata da figure macchiate da entità sconosciute ma la cui aura
lucente mi aveva circondato da tutte le parti.
Il
romanzo di Josè Saramago a mio avviso fa parte di quella cerchia di romanzi che
io denominerei come dispostici. Crudele, sadico, inflessibile. Globo instabile
di soggetti indotti al dramma, costretti a respiare grumi di polvere condensati
in varie forme. Ho girato le ultime pagine del romanzo in balia di una vastità
di sentimenti contrastanti, variazioni dell'aria, in un condensarsi di giochi
che intercorrono fra il chiaro e lo scuro.
Colorato
da particolari e significative sfumature, Cecità
è un opera universale che non impedisce di divorarti da dentro. Una corsa
inarrestabile per la sopravvivenza, in mezzo a gruppi di anime macchiate dalle
stesse colpe o delitti. Un eco che ancora tuttoggi si diffonde fra le crepe di
cuori puri, impavidi. Un grido acuto lanciato da un dirupo che conosce il peso
delle sofferenze, il bruciore del dolore e delle rinunce.
Morire è
sempre stata questione di tempo. Ma morire solo perché si è ciechi, non
dev'esserci peggior maniera di morire.
Valutazione
d'inchiostro: 4
Ciao, interessante, ottima recensione!
RispondiEliminaSpero lo leggerai ☺☺
EliminaHo letto pochi mesi fa questo libro e l'atmosfera in cui mi ha immersa mi è rimasta addosso talmente tanto che, rileggendo la tua splendida recensione, mi è sembrato che intorno a me tutto si dissolvesse, imprigionandomi di nuovo in quella lattescente gabbia di suoni e odori. Un romanzo possente, che disturba ma apre gli occhi su quello che davvero c'è dentro all'animo umano. Bellissime le parole con cui tu, Gresi, evochi alla perfezione le tante emozioni che Saramago suscita tra queste righe. Certo non una storiella da ombrellone, ma da leggere, assolutamente.
RispondiEliminaGrazie mille, Letizia! È una lettura modernissima, ricca di significati ☺☺ penso proprio serberó un ricordo speciale ☺☺
Eliminaquesto titolo è in lista da un po', sono sempre più curiosa
RispondiEliminaL'ho riletto dopo qualche anno. La prima volta non fu così eclatante come pensavo. Ma una seconda lettura, specie ad n età un po' più matura, mi ha fatto vedere questo romanzo sotto un altra ottica. E sono felice sia stato così, in quanto Cecità è stata una bellissima lettura :)
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