Due anni fa avevo lasciato Aurora nel pieno del mese di ottobre; adesso
che ritorno, il mese di novembre è oramai definitivamente andato, sul punto di
dimenticarlo quasi del tutto.
Dicembre mi scatena quasi sempre forti emozioni; ricordi nascosti
nella soffitta impolverata della mia anima, riducono me e le mie aspettative
uno scricciolo su ciò che mi piacerebbe ci fosse ma che non sempre accade.
Rende le mie letture più profonde, più significative. L'orologio del tempo tictacca
dentro di me, ricordanomi come presto inizierà il conto alla rovescia dei giorni,
dei minuti che mi sepereranno da un nuovo anno, la ricorrenza del giorno in cui
inizierà nuovamente ogni cosa e forse questa volta con qualche cambiamento.
Il clima in questo periodo dell'anno conciliò con il desiderio di
leggere il secondo volume di un autore che due anni fa amai particolarmente.
Sto parlando di Joel Dicker e del suo straordinario Il libro dei Baltimore che,
spedendomi da una parte all'altra, da un posto a un altro, fra presente e passato,
in cui ogni cosa si è dilatata sul palmo delle mie mani, tanto avvincente
e scrupolose sono state le vicende.
Titolo: Il libro dei Baltimore
Autore: Joel Dicker
Casa editrice: La nave di Teseo
Prezzo: 14, 90 €
N° di pagine: 592
Trama: I Goldman di Montclair, New Jersey, sono una famiglia della
classe media e abitano in un piccolo appartamento. I Goldman di Baltimore,
invece, sono una famiglia ricca e vivono in una bellissima casa nel quartiere
residenziale di Oak Park. A loro, alla loro prosperità, alla loro felicità, Marcus
ha guardato con ammirazione sin da piccolo, quando lui e i suoi cugini, Hillel
e Woody, amavano di uno stesso e intenso amore Alexandra. Otto anni dopo una
misteriosa tragedia, Marcus decide di raccontare la storia della sua famiglia:
torna con la memoria alla vita e al destino dei Goldman di Baltimore, alle vacanze
in Florida e negli Hamptons, ai gloriosi anni di scuola. Ma c'è qualcosa, nella
sua ricostruzione, che gli sfugge. Vede scorrere gli anni, scolorire la patina
scintillante dei Baltimore, incrinarsi l'amicizia che sembrava eterna con
Woody, Hillel e Alexandra. Fino al giorno della Tragedia. E da quel giorno Marcus
è ossessionato da una domanda: cosa è veramente accaduto ai Goldman di Baltimore?
Qual è il loro inconfessabile segreto?
La recensione:
Grazie a un
semplice sentore di profumo, ero tornato nell'intimità dei ricordi, e, per un
istante, avevo rivissuto la felicità di averli frequentati.
Il
mese in cui avrei voluto scrivere questa recensione prevedeva novembre, con
cieli perennementi grigi e opprimenti che ci sprofonda tutti in un cupo
crepuscolo perenne. Tornando ad Aurora trovai Marcus che vagava come un anima
in pena raccogliendo qua e là sprazzi di vite, memorie lontane, storie di
personaggi conosciuti e sconosciuti e distribuite in una manciata di fogli, in
un plico di avventure il cui titolo reca quello di una famiglia piuttosto longeva:
i Baltimore. Tutto pur di tenere a bada il grigiore di una vita sempre uguale a
se stessa, appostato in ogni angolo, persino nei posti più impensabili, nelle
pieghe del suo animo, nelle crepe del suo cuore.
Marcus
non fece domande sui motivi che mi indussero a leggere di lui e della sua
intricata storia; né mi ragguagliò sull'andamento del mio processo di lettura
che, nonostante la brevità della mia visita, era notevolmente cresciuto. Le
pieghe di una storia che due anni fa avvolsero me, la mia anima semplice e romantica,
spiccarono con notorietà come se fossero sature, le vicende che intersecano la
vita di un semplice scrittore di anime e il suo destino nel mondo sembravano in
questo secondo romanzo ristrette, tanto le vicende, la svolta che Dicker
evidenzia in questo secondo volume fu decisiva. La sottile linea di confine che
era sospesa come invisibili particelle ne I
libro dei Baltimore si era ridotta; strisciava lungo ogni nervo del mio
corpo, stemperando i toni malinconici, quasi tragici di un evento che
scombussolò gli animi di chiunque. E, malgrado l'intensità della cosa in se, la
storia di questo secondo volume non perde quella forza, quell'energia che avevo
riscontrato nel volume precedente e che resero ai miei occhi il suo autore una
certezza nel panorama della narrativa contemporanea. Quando lo accolsi nuovamente
nel mio cantuccio personale, non feci in tempo a sedermi e a tirare fuori il
mio immancabile blocnotes, che subito fui trascinata in un vortice di situazioni,
eventi che riprendono la storia dello scrittore Marcus da dove si era conclusa,
come se fosse sul punto di traboccare e Dicker non riuscisse a trattenerla un
istante in più.
Tutto
ciò penso abbia avuto a che fare con la magia che cela la parola scritta,
nonostante talvolta interpretarla è un'impresa davvero ardua. Le parole si
consumano, si ingolfano, arrivano in ritardo e non servono più a esprimere
quello che si vuole esprimere. Meccanismi di precisione, incastri e
composizioni perfette, che tuttavia hanno un loro ritmo. E' qualcosa di estremamente
affascinante, armonioso, e il motivo per cui ho amato questi primi due volumi
di Joel Dicker penso derivino proprio da questo. Medicina che ha avuto un certo
effetto su di me, andando contro la ragione, contro ogni buon senso, non aggressivo
ma veritiero.
Quando
giunsi fra Marcus e i suoi demoni, le parole che nel primo volume avevano agito
così bene stimolarono forza vitale e diedero un certo equilibrio, una certa saggezza,
a una massa instabile di pelle e ossa che lentamente ha cominciato a vagare
lungo la riva dell'assurdo. Tutti gli indizi, tutti gli effetti furono devastanti,
pericolosi. Rivelazioni sconcertanti avevano sconvolto l'universo personale di
Marcus e il mio, e pur sperando che il mio soggiorno potesse prolungarsi per
più di qualche giorno i dubbi sull'alone di mistero che circondavano l'anima di
questo secondo romanzo non svanirono se non quando giunsi all'ultima pagina.
Non
penso sia dovuto dalla frenesia dell'atto in se, piuttosto dalla potenza di parole
che riannodate con sagacia e pazienza, gocce d'inchiostro indelebile che si
sono persi nella confusione della vita, da una città a un'altra, affogarono il
mio cuore trasmettendomi un forte senso di benessere. L'arte segreta della
scrittura penso cela anche questo tipo di bellezza; se chiudo gli occhi e
inverto il corso della mia esistenza constato come di bellezza in realtà ce ne
sia molto poco. Un uomo brutalmente assassinato, un matrimonio che si avvia
lungo la strada della distruzione, un amore impossibile ma romantico, uno
scrittore in balia del "blocco dello scrittore", tutti elementi che rattristano,
quasi demoralizzano non potendo più contemplare questa vivida bellezza di cui parlavo.
Piuttosto imporsi di ascoltare ogni singola voce, in ogni singola pagina, attorcigliatami
addosso e rendendomi prigioniera.
Quella
de Il libro dei Baltimore è una
tipologia di romanzo di cui io sto volontariamente alla larga: i romanzi gialli
purtroppo non sono quel tipo di letture in cui mi piace perdermi, vivere o
respirare. I libri di Dicker, tuttavia, sono romanzi così travolgenti, appassionanti
e bellissimi che, dapprima, conducono lungo la corrente di un fiume di parole
estrapolate a caso, per poi prenderti alla sprovvista e indurti a provare uno
strano desiderio. Tornare indietro; riannodare il filo conduttore di queste
vicende, e rivivere nuovamente le bizzarre situazioni in cui Markus fu impelagato.
Tanto
cameratismo, tanta solidarietà e conforto, urla rabbiose di ribellarsi al mondo
e a coloro che si credono amici. Tanti sogni infranti, speranze, illusioni, che
mi piombarono addosso, nell'esaltazione dell'anima e delle cose.
Il
secondo volume di una saga che continua a far parlare di se, che mi ha travolta
sin dal primo momento in cui decisi di imbarcarmi in questa storia. Una storia
che ha segnato la mia anima mediante un tema che per chi ama leggere e scrivere
è estremamente necessario.
Solo i sogni
più grandi sopravvivono. Gli altri sono cancellati dalla pioggia e spazzati via
dal vento.
Valutazione
d'inchiostro: 4
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