lunedì, dicembre 30, 2024

The lost review: ultime letture dell'anno 2024 parte 2

La mia ricerca di classici o autori nuovi, ancora da vivere o esplorare, per quanto mi riguarda, si conclude con gli ultimi scocchi di questo 2024. Si conclude adesso, in questo ultimo lunedi di fine dicembre, ma partirà o proseguirà l’anno venturo, con un bagaglio di esperienze o conoscenze assimilate che, giorno dopo giorno, mi rendono orgogliosa della persona che sono diventata. D’altronde, senza la lettura, senza i libri non sarei niente, e ad interessarmi, ad infervorare il mio animo o spirito sono i rapporti che intercorrono fra la mia anima e i loro autori, fra chi li scrive e chi li legge e quanto investe su di me tutto questo.

C’è qualcuno davvero di così straordinario a saper spiegare questa magia? O trattasi di quella magia inspiegabile che solo la parola scritta può trasmettere?

Ebbene, al capitolo finale di quest’anno, zeppo di tante cose, tante novità, tante sorprese, attese e inaspettate, ecco le ultime letture dell’anno. Ma le ultime per davvero… per poi partire o ripartire nel 2025 consapevole di poter gestire ogni cosa, curando la mia anima con estrema cura, imparando a gestirle al meglio. Il meglio delle mie forze o capacità.

🌺🌺🌺🌺🌺

Titolo: Prezioso veleno

Autore: Mary Webb

Casa editrice: Elliot

Prezzo: 19, 50

N° di pagine: 283

Trama: Pubblicato per la prima volta nel 1924 questo classico della letteratura inglese racconta la storia di Prue Sarn, una giovane donna dallo spirito libero, nata con una malformazione al volto e per questo sempre malvista dagli abitanti del villaggio in cui abita, incastonato tra i campi e le foreste delle Midlands Occidentali. Solo l'umile tessitore Kester Woodseaves sembra apprezzarla nonostante la sua "deformità", mentre il fratello della ragazza, animato da un'incontenibile ambizione materiale, si dedica anima e corpo al lavoro per poter migliorare le proprie condizioni di vita. Ispirato ai ritmi e ai colori espressivi delle Sacre Scritture, questo è il romanzo con il quale Mary Webb mostrò al mondo la bellezza, non soprannaturale ma terrena, della vita rurale dell'Inghilterra ai tempi di Napoleone. In quei territori infestati dalle superstizioni e dalle leggende popolari, solo un'eroina come Prue poteva convertire il "veleno" di una maledizione in qualcosa di "prezioso", tramite un amore finalmente libero e vissuto.

La recensione:


Il passato e il futuro sono due spole nelle mani del Signore, che tesse l’eternità.. Non possiamo sapere che cosa siano il passato e il futuro. Noi siamo così piccoli e inermi sulla terra, che è come una verde culla di giunco da cui l’umanità rivolge lo sguardo alle stelle senza sapere che cosa siano.


Incuriosita e inconsapevole di dove potesse condurmi un classico come questo, è oramai cosa nota che i romanzi vittoriani, soprattutto quelli inglesi, sembrano riflettere tutta la bellezza intrinseca della natura dei sentimenti umani, dove ogni cosa non è lasciato al Caso nè è da considerarsi scontato o alla libera scelta dell’autore. Quanto all’individuo, che osserva dalla soglia morale della sua insoddisfazione, ogni cosa. 

Prezioso veleno espugna una visione molto simile a quella romantica che generalmente attribuisco ai classici, in cui mi è bastato osservare bene ciò che mi si era posto davanti, e specialmente il rapporto che è intrinseco all’uomo con la natura. Vista da ogni punto di vista come fonte di vita, descritto in modo poetico e partecipe, la sofferenza che si vede o si avverte emarginata, introdotta nel testo mediante una certa fame di vita.
Mary Webb avrà sicuramente custodito nel suo piccolo scrigno, tanti piccoli segreti. Tanti slanci di un cuore giovane ma dilaniato, prostrato dalla vita, dalla crudeltà di certi attimi, in cui è bastato osservare e seguire le vicende della sua eroina di carta, Prue, per respirare una certa aria, quell’aria che qualche anno fa ho respirato mediante altri classici, la condizione invalidante di una giovane donna che fece del canto altisonante della natura uno sbocco sul suo mondo, quello personale dell’autrice, il formulario di conoscenze apprese mediante la lettura dei testi che più ama come opportunità per ampliare le sue conoscenze, affinare il pregiudizio, l'ignoranza, l’incuria del tempo intrappolato in un piccolo paesino dell'Inghilterra in cui la salvezza dell’anima sarebbe dipesa dal sacrificio della stessa. Da gruppi di uomini, definiti mangiatori di peccati, pronti ad addossarsi qualunque colpa, in primis quella del defunto, in questo caso del padre, appannato dal pregiudizio, confuso con le superstizioni di un’intera società. L’universo rispecchia il pensiero della comunità e la prosa semplice in cui ogni cosa è descritta, rispecchia e contorna un paesaggio splendido che ai più romantici non potrà non ricordare le bellissime brughiere hardyane. Ben descritti per farmi venire la pelle d’oca, donare un certo fascino, puro ammaliamento, così incredibile a non poter districare il mondo della superstizione quanto ben radicato nelle menti dei suoi cittadini.

Di Mary Webb non ne sapevo nemmeno l’esistenza, e Prezioso veleno una splendida sorpresa che a grandi linee ha delineato un paesaggio immerso nel folklore, nelle tradizioni popolari, che non può di certo definirsi indimenticabile ma piccola oasi di conoscenza che ha riflettuto quella luce cui aspirava la sua autrice. Quella fievole luce che solo l’istruzione, la conoscenza avrebbe alimentato, ed eliminato quel chiodo fisso che brucia nella testa della comunità pur di alleviare ogni sofferenza, nei dogmi del passato che possano condurli alla beatitudine. Quella in cui l’anima non sarà più dannata, ogni certezza vacilla, ogni ideologia svuota qualunque vanità del cuore umano che non siano asserviti all’incuria quanto alla logica del profitto.

Prezioso veleno ha funto da paradiso per ogni amante dei classici, quegli amanti che si cibano di questo genere di letteratura come se fosse il respiro di tutta una vita. Sicuramente per me, che per non restare saldamente legata al passato, legge ogni tanto anche testi che la inducono a restare ben piantata nel presente. Purché non cerchi una via di fuga, un espediente per volgere le spalle al bellissimo mondo dei classici, in cui è proprio qui che posso respirare, vivere, sentirmi libera come desidero. Trovando tutto ciò che desidero e che trovo a minor prezzo che altrove, perché il mondo dei classici è un porto libero in cui si può soggiornare ed esplorare come ci pare e piace: un vestito che indosso spesso e con il quale adorno le mie membra, ora con un bagaglio di conoscenze acquisite nel passato, ora con un rimasuglio di fogli, che sono facilmente riconducibili al cuore di una storia che ha cercato nell’ignoranza, nei dogmi del passato, del cristianesimo, forme di vita o sostentamento che possano condurre alla beatitudine, Quella in cui l’anima non sarà più dannata.

Ad attrarre maggiormente, è stato questa miscela disomogenea di creare un certo connubio tra fiaba e tragedia, sprazzi di sentimentalismo e di sventura, crudeltà e miseria in cui la natura si incaponisce, ciò che dona presto o tardi deve essere restituito. Concerne a quel forte senso di abbandono, solitudine che mossero la Webb ad abbracciare la scrittura e ad esplicare mediante un linguaggio semplice, puro quelle certezze, non più ballerine, quanto stabili, che sono originarie dal rapporto che intercorre fra l’uomo e la natura. E che solo il buon Dio, con la sua bontà, potrà redimersi e condurci lungo la retta via.

Prue era quella ragazza scialba e silenziosa che incarna il peccato, la superstizione. Jorn, il paese da cui si tenta di sfuggire pur di apprezzare ogni piccola meraviglia insita nel nostro cuore, alla luce di quei valori umani e morali che trascendono il tempo e la fede, esplicano l’amore per la vita apprezzandola nella sua integrità.

Nulla conforta più di una luce fissa, mentre nulla è più triste di una luce che si accende e poi si spegne nel vuoto.

Valutazione d’inchiostro: 4

🌺🌺🌺🌺🌺


Titolo: Storia di una libraia di Tokyo

Autore: Nanako Hanada

Casa editrice: Harper Collins

Prezzo: 18 €

N° di pagine: 240

Trama: Nanako è in piena crisi esistenziale. Separata da poco dal marito, non ha più una casa: vaga tra capsule hotel, internet cafè aperti fino a tardi e super sento, i bagni pubblici a pagamento. Il lavoro non va meglio: all'eccentrica libreria Village Vanguard di Tōkyō, di cui è direttrice, le vendite languono. Disillusa e disamorata, Nanako si rende conto di quanto la sua vita sia diventata angusta, senza rapporti personali al di là dei colleghi e senza prospettive. C'è solo una passione che le permette di andare avanti: quella per i libri. Finché un giorno, d'impulso, Nanako si iscrive a un sito di incontri “veloci”, in cui le persone hanno trenta minuti per vedersi, parlarsi ed entrare in sintonia. Spesso per trovare un partner, ma anche solamente per stabilire un contatto con un altro essere umano nella grande metropoli. Per distinguersi tra tanti profili, Nanako si presenta come libraia che può raccomandarti “il libro che cambierà la tua vita” e i primi match non si fanno attendere. Inizia così un anno di incontri con un'eclettica gamma di sconosciuti: per molti i libri sono solo un pretesto, altri invece si affidano con entusiasmo ai consigli di Nanako. C'è chi scopre per la prima volta la meraviglia di immergersi tra le pagine, chi addirittura sfodera un romanzo erotico dal cassetto, chi sta cercando un'autentica amicizia su cui poter contare. Tra momenti di disincanto e slanci di entusiasmo, Nanako si accorge che in lei si stanno risvegliando sogni dimenticati da tempo: c'è una persona che, più di chiunque, vuole incontrare, e una libreria che rappresenta tutto ciò che ha sempre desiderato…


La recensione:

Di letture in cui l’anima può sentirsi in pace, negli ultimi tempi, soprattutto le ultime settimane che hanno scandito questo 2024, stanno velocemente facendo capolinea nella cittadella della mia coscienza. Ancora affollata da quelle letture vissute in soli 365 giorni, ma già pronta a ricreare e a condensare con poche pagine, quella magia che solo la parola scritta trasmette. Perlomeno, per me. Quella magia che solo chi ama rifugiarsi fra le pagine di un buon libro, cibarsi di storie che sembrano non possedere niente di speciale ma che sono il respiro, il battito non solo di chi le scrive ma anche di chi li legge. Quella di chi le espugna come espedienti beneficiari, e quella di chi li accoglie o li custodisce come piccole gemme. E tale situazione si ripete all'infinito, e si ripeterà per chissà quanto tempo, ogni qualvolta leggo, a dire il vero, che sfruttano quella che considero una delle migliori teorie possano esserci, strettamente legate ai lettori; la vita spesso non sa arricchirci, soddisfarti come desideriamo. E a salvarci dalla sua rovina, l’unica soluzione possibile, è quella di rifugiarsi fra le pagine di storie che, nel giro di qualche attimo, potrebbero rappresentare la stessa. Credo che abbia a che fare con i sogni: bisogna chiudere gli occhi, e lasciarsi cullare dalla purezza di un attimo, dal suono di parole che, se incastrate alla perfezione, producono una melodia, e tutto ciò che ne esce alimenta e rinvigorisce di una luce calda e confortevole. Per tornare alla grandezza, alla magia dei libri, bisogna però tagliare ogni legame con l’esterno, ogni bruttura della vita, ed eliminare qualunque segno di corruzione. Da qui la decisione di leggere come opportunità di far saltare non solo il cuore ma anche la mente, lasciando così ogni speranza, a chi entra, a svolazzare come uno sciame di api impazzito, nel vento: il cuore crede di esserne indebolito, quanto solidificato dalla certezza che fra le pagine di un libro ogni cosa può definirsi valido, attendibile.

Ed eccolo qui, l’ennesimo esempio di amore per la lettura. Viva e corrotta, risorsa della stessa autrice che, in un momento particolare della sua vita, fece della passione per i libri, non solo un mestiere, un'attività, quanto uno stile di vita. Una risorsa nonchè repellente alla solitudine, all’incomprensione che, la letteratura giapponese, lo sappiamo bene, è maestra nel saper elargirci forme atipiche di vita le cui anime sono ancora infestati da brutti ricordi o eventi, la lettura sembrava l’unico momento conciliante con lo spirito in cui la speranza avrebbe potuto fiorire, eliminare ogni impurità, alimentando quei desideri che sembravano essere perduti. Sembra qualcosa che ha a che fare con la follia, no? Ma chi è un'amante della parola scritta, è un lettore vorace, sa che è ugualmente folle non sentirsi così. Risolvere l’intero problema lapalissiano in poco tempo, semplicemente con dei suggerimenti? Ma non è folle tutto questo, lasciar credere che possa essere un semplice suggerimento per scovare la felicità?

Se la comunità nipponica si aggrappa alla solitudine come uno scoglio evidentemente è consapevole di dover fare qualcosa che possa estirpare completamente, ma come rimediare a un malanno dell’anima che apparentemente sembra incurabile? Proteggendo la nostra integrità, dai rapaci uomini d’affari che vorrebbero accalappiarci come cani in calore, sfruttando della nostra vulnerabilità con l’occasione dei cinque minuti? Eppure la prima vera cura per curare la solitudine credo dipenda, in primis, dalla possibilità di saper vivere in pace con se stessi, riscoprendo la nostra identità … e poi, forse, aprire le porte al mondo esterno, comprendo solo così se pronti ad una nuova rinascita.

Il cuore pulsante di questa storia che era sfumata nella magia della parola scritta, nella bellezza di una storia che sembrava raccogliere le testimonianze di un mondo quasi in via di estinzione, era sicuramente incuneata nella possibilità della sua autrice di saper guarire l’anima, da mesi viaggiattrice attraverso la storia di altri per rintracciare qualcosa che mettesse a posto qualcosa dentro di lei. E tale cura, sopraggiunta quando meno se lo sarebbe aspettata, agitandosi come un colibrì impazzito che pretendeva soltanto cura e attenzioni.

L’autrice, da psichiatra dei libri, fece di questo testo un’esperienza personale in cui ognuno di noi può riconoscersi, di quelle povere anime affette da solitudine che, in un momento di sconforto, tendono ad essere vittime di massa. Covando nel cuore una certa paura che solo il conforto di qualcosa o qualcuno può esorcizzare completamente. Timorosi del tempo e della morte, funzionari conoscitori di quelle conoscenze profonde che vengono adottate e che esplicano ciò che hanno più importanza per la nostra integrità. In questo caso i libri, la parola scritta, la magia di scuotere l’anima mediante carezze o bruschi slanci dell’anima che hanno descritto la democrazia di ogni lettore come cura per le malattie dell’anima.

Valutazione d’inchiostro: 3

🌺🌺🌺🌺🌺

Titolo: L’amore è un fiume

Autore: Carla Madeira

Casa editrice: Fazi

Prezzo: 18, 50 €

N° di pagine: 180

Trama: Venâncio e Dalva, marito e moglie, si amano di un amore totale. La loro è un’unione inestricabile di anima e corpo; amano parlarsi, toccarsi, guardarsi, abbandonarsi completamente l’uno all’altra. Lui e lei, lei e lui. Fino al giorno in cui la tragedia irrompe nella loro vita incrinando questa simbiosi perfetta. Nelle crepe di un amore che all’improvviso sembra svanito si insinua Lucy, prostituta orgogliosa che invade le loro esistenze a testa alta. È la più desiderata della città, desiderata da tutti ma non da Venâncio, che inizialmente non la degna di uno sguardo. E si sa, non esiste miccia più potente dell’indifferenza: il disinteresse di Venâncio accende Lucy di una passione irrefrenabile. La giovane farà di tutto per averlo, ma solo il giorno in cui, per puro caso, compierà un gesto che gli ricorda la moglie, riuscirà a farlo suo. E ogni cosa cambierà per sempre. Perché l’amore, come un fiume, è inarrestabile, e il suo flusso ininterrotto plasma le vicende dei protagonisti assumendo le forme più inaspettate.

Amore, odio, perdono: L’amore è un fiume è un romanzo esplosivo, traboccante di vita e sensualità, un inno all’amore vissuto liberamente e una condanna esplicita della doppia morale patriarcale. Con una scrittura magistrale, che è al contempo densa e delicata, lirica e carnale, Carla Madeira al suo romanzo d’esordio dimostra un’abilità che soltanto i grandi scrittori possiedono.


La recensione:


Perdere l’amore è un annotare interno, una memoria del corpo evocato dal tramonto.


Nella mia personalissima isola, ho ospitato non poche storie d’amore, soprattutto quelle in cui un membro di una coppia, fosse rotta, frantumato da un passato sovversivo, angosciante e irrimediabile. Non potendo fare niente che accoglierli nel mio cantuccio personale, ascoltarli e porli una mano d’aiuto pur di donare gesti di conforto o comprensione, la mia coscienza cerca spontaneamente e irrimediabilmente una soluzione, una cura che possa alleviare le loro sofferenze. Quelle che come un balsamo magico, disegnino quella personalissima panacea in cui i due piccioncini possano coronare il loro sogno d’amore, senza però alcuni intoppi o imprevisti, una che abbia a che fare col paradiso terreste che ogni coppia confida di poter custodire, ottenere e, tutto intorno, una specie di riscatto mediante il buon Dio che possa dargli ciò che sino a quel momento era stato negato. Come la legge del contrabbasso, lussuriosi, irrazionalmente si sono lasciati  trascinare senza pausa da una bufera, trasportati senza freno dalle passioni e dai sentimenti, senza dar peso a nient’altro. Quell’accozzaglia di sentimenti che avrebbe dovuto costellare il loro amore messa da parte e dopo un attimo, alla velocità di un battito di ciglia, ogni cosa dimenticata. Ci si riduce inevitabilmente a dover stare a fianco di una persona senza più “ricordare” i motivi per cui si desidera averla accanto, ma se ad essere ferito è il cuore, un cuore frantumato, come riattaccarlo? Come ricucire ogni lembo, ogni parte del nostro corpo completamente esposta, perché quel forte e travolgente sentimento che è l’amore possa indurlo a battere nuovamente? Non lo so, non ho idea se elargire un'idea appropriata d’amore, ma quando per me fu così a dettare certi miei incomprensibili gesti fu il cuore, e poi la mente. E certe azioni, giustificate dallo stesso. E’ così, ed io l’ho provato sulla mia pelle!

Eppure questa storia, che ha parlato tanto e con foga, mi ha trascinata, col suo vomito puzzolente di parole, una passione per me non definibile come tale, non per convincere me quanto << giustificare >> i suoi personaggi. Una storia, raccontata da una donna che ebbe bisogno di ben dieci anni per concepirla nella sua interezza, che se sulle prime mi aveva travolta, sembrava così eccezionale, quel genere di storia i cui personaggi sono ridotti a pezzi, una carcassa di marionette mosse da una mano invisibile e crudele, l’emozioni esplicate erano ridotte a niente in quanto sostiutite dall’unione di corpi che sono privi di emozioni quanto soppiantati dall’atto furioso e violento del sesso. Quel genere di storia che avrebbe potuto essere eccezionale se raccontata, generata diversamente, per mio gusto personale, in cui a palpitare non sarebbero stati gli organi genitali femminili e maschili dei personaggi, quanto i loro cuori. Quei piccoli colibrì che, in un momento imprecisato, si dimenò nella gabbia toracica. Lo si ascolta, lo si contempla mediante una certa cura perchè necessito di tali attenzioni, ma qui concepito mediante l’unione di due cuori che hanno speso la loro vita con problemi dello spirito la cui esperienza li ha resi più uniti. Ha reso il loro legame più solido, più forte, incrementando l’amore, l’affetto nutrito giorno dopo giorno. E’ questa l’esperienza di amore passionale? 

Forse si, ma non per i personaggi di questa storia, che si lasciano trasportare dalla corrente di un fiume, vivendo nell’insoddisfazione, nell’impossibilità di scegliere poichè la loro natura affonda le radici in luoghi di mai più ritorno, in cui l’anima macchiata inevitabilmente non può essere più lavata.

Carla Maidera racconta di donne, del piacere che l’uomo raggiunge e che lo conducono in luoghi in cui il suo paradiso personale ha le fattezze dell’inferno, da ciò espugnando una visione spirituale, libera, il sesso a volte teso a concepire moti di sfogo dell’animo, imprigionandolo, incarnandolo in una progione da cui sembra non esserci alcuna via di fuga poichè consumatri dalla stessa. La soglia dell’eccitazione raggiunta, induce a  perdere il senno, la lucidità e a non concepire la ragione con il cuore quanto renderle due entità distinte e separate. Ed io personalmente non ho condiviso l’idea che il sesso potesse dominare la natura indiividuale, la sua sfera emotiva quanto dovrebbe essere l’amore a determinare il sesso, così inafferrabile, violento. Da ciò deriva una visione meschina, irrispettosa per il corpo e lo spirito in cui gli innumerevoli dettagli sessuali, seppur si tenti di ignorarli, evidenziano questa fame insaziabile del corpo, e non il cuore di essere curato. Si può amare senza dover essere costretti ad esibirsi in delle prestazioni sessuali, perlomeno non ossessivamente, ma per la Medera il sesso è qualcosa intrinseco al corpo e non all’amore, e l’uomo ad essere spinto alla ricerca vana della felicità. Una personalissima panacea che tuttavia sarà solo illusoria, inavvertibile in un universo sommerso dalla sofferenza, inevitabilmente divenuta come quell’unica strada o soluzione in cui la vita può darci qualcosa. Risposte a domande mai espresse, e la bellezza, l’armonia, la grazia invisibili, privi di ruolo o fondamento.

Per capire certe pratiche amorose, non ho potuto fare a meno di lasciarmi contagiare dal tono estremamente nostalgico, intrinseco di rimorso, malessere che se per un primo momento attanagliò le mie viscere, in un secondo consapevole che, nella visione di una donna, una madre che parla di violenza carnale e domestica, non c’è una netta distinzione fra soggetto inanimato che vira ad essere violentato da forze esterne a cui non può barricarsi, a soggetto animato consapevole di ricevere violenza perché dotato di una natura devastante, al fine di renderli guasti, incapaci di amare o nascondersi dietro tabù, limiti del corpo e dello spirito da cui però dipende la loro stessa esistenza, che sfugge al controllo dell’essere umano sulla ragione, in quanto indomabile e sfuggente come fiati di vapore nell’atmosfera. E l’irruenza di tale sentrimento, il sesso, ne implica l’impossibilità a lasciarsi andare ad ogni emozione umana, quanto sapersene prendere cura. Custodire i propri sentimenti dagli assalti esterni, un piccolo gioiellino che è solo tuo e di nessun altro.

Per molti gli oggetti non hanno una vera e propria importanza. Né tanto meno per me, che crede che il legame che si attribuisce alle cose sia irrimediabilmente inutile dinanzi agli affetti, ai legami. Eppure L’amore è un fiume espugna una visione motlo simile della donna oggetto consapevole di esserlo in cui l’amore decantato, non è assolutamente dotato delle medesime parvenze dell’amore romantico dei sommi poeti, quanto donando una visione pregiudicante ed anche un pò irritante e criticante del sesso privo di amore. Ma calibrato da uno stile << a fiume >> che nel suo corso incessante non può essere soggetto a delle modifiche o a degli arresti, quanto ad un processo di irrimediabile flusso. I personaggi della Madeira sono consapevoli di essere guasti, di aver, fra il corpo, dei piccoli solchi che forse solo il tempo avrebbe riempito, ma possessori di quel libero arbitrio da cui ne sarebbero dipese certe loro scelte. Tentando di scegliere, non cancellando il passato quanto modificando il presente in vista di un futuro migliore. Un futuro in cui ogni cosa non sarebbe scivolata lungo la distruzione o nell’irrazionalità, quanto nella comprensione. Nell’ insana -  o forse no? - idea di poter sfuggire a tutto questo, indagando ed esplorando qualunque fronte possa scovare anche quello sprazzo di luce che possa finalmente inondare il loro spirito. Lavare ogni bruttura del mondo.

Valutazione d’inchiostro: 2 e mezzo

🌺🌺🌺🌺🌺

Titolo: Guarda le luci, amore mio

Autore: Annie Ernaux

Casa editrice: L’orma

Prezzo: 13 €
N° di pagine: 112

Trama: «Raccontare la vita»: è questo il nome della collana per la quale nel 2012 l'editore francese Seuil chiede un libro ad Annie Ernaux. Senza esitazioni, l'autrice sceglie di portare alla luce uno spazio ignorato dalla letteratura, eppure formidabile specchio della realtà sociale: l'ipermercato. Ne nasce dunque un diario, in cui Ernaux registra per un anno le proprie regolari visite al «suo» Auchan annotando le contraddizioni e le ritualità ma anche le insospettate tenerezze di quel tempio del consumo. Da questa «libera rassegna di osservazioni» condotta tra una corsia e l'altra - con in mano la lista della spesa -, a contatto con le scintillanti montagne di merci della grande distribuzione, prende vita "Guarda le luci, amore mio", una riflessione narrativa capace di mostrarci da un'angolazione inedita uno dei teatri segreti del nostro vivere collettivo.


La recensione:


Vedere per scrivere è vedere altrimenti. E’ distinguere oggetti, individui, meccanismi e conferire solo valore d’esistenza.


Mi congedai dall’autrice con una certa irruenza, e nel medesimo modo, fui messa ad aspettare, riflettere per comprendere cosa questa lettura, secondo romanzo che leggo di questa autrice, avesse lasciato. Il suo passaggio, breve e inavvertibile, arrivò prepotentemente e inaspettatamente come uno schiaffo sul viso. Una donna, la stessa autrice, girovagava nei supermercati della sua città, con i capelli raccolti in un chignon e una lunga gonna di seta e una camicetta bianca a contornare il suo minuto corpo, vagando come un anima in pena fra gli scaffali, i reparti del supermercato, secondo un ordine tutto suo.

La Ernaux, due anni fa, vinse il premio Nobel per la letteratura, e dopo averla conosciuta con il suo romanzo più noto, credevo che questa lettura, il primo figlio della sua progenie che emise il primo vagito, non mi entusiasmò come credevo. Seppur il tema in sé fosse alquanto sciatto e inutile, ma il suo significato << sensibile >>, facilmente riconducibile alla condizione umana, a quella cerchia di individui  di ceto medio che si attorniano in questi luoghi come sbocchi su l'anima, pur di rifocillare non solo il corpo ma anche lo spirito. Ed infatti, in un testo esile, brevissimo - e per fortuna, direi - ribadisce sempre e solo questo unico concetto, così pronta e attenta, desiderosa di spiccare nel bel mezzo di una folla che se non avrebbe prestato una certa attenzione all’assetto economico, avrebbe perso ogni cosa. Non solo il patrimonio economico ma anche la dignità.

Il controllo di ogni situazione a cui presto o tardi avrebbero dovuto congedarsi, timorosi del futuro e di ogni cosa.

Una prosa che suona però triste, povera, scritta con frasi che sono state ripescate dal di dentro, da dentro l'anima dell'autrice, con quel l'accumulo di ricordi e percezioni che si continua a portare nel corpo e che quasi sempre contagiano. In cosa si nasconde la sua suprema essenza?

Credo dal suo modo semplice ma destabilizzante di penetrare nel cervello. Il semplice suono mi trasmise un certo ammaliamento. Un diario, una raccolta di pensieri il cui significato avrebbe potuto essere più netto, più coinvolgente non abbacinando con estrema cura la mia anima, ne rievocando certi eventi attraverso la parola mediante qualcosa di mancato: un gesto spontaneo, volontario.

Un libriccino che avrebbe potuto essere toccante, nonché meravigliosa proiezione egoistica del desiderio di un anima semplice ma solitaria e appassionata, che nasce ma non giunge mai a piena maturazione. Ma in cui resta intatta quella dolcezza velata di tristezza e sconforto che va a cercare sentimenti nascosti nel suo intimo, che tuttavia credeva perduti. La storia di una donna, di cui l’anima si era cibata di un mondo che lentamente stava bruciando ai suoi occhi, le cui immagini hanno il colore scuro di una nuda parete di cemento, da cui si tenta di fuggire grazie alla gioia di catturare il pensiero astratto su carta, urlando dinanzi all'ignoto, lanciandosi all'assalto dei propri dolori, pur di illudersi di non sentirsi più soli.

Valutazione d’inchiostro: 3

🌺🌺🌺🌺🌺

Titolo: Viviane Élisabeth Fauville

Autore: Julia Deck

Casa editrice: Adelphi

Prezzo: 12€

N° di pagine: 129
Trama: In una stanza disperatamente vuota una donna culla su una sedia a dondolo una bambina di pochi mesi. Ha l’impressione di avere commesso qualcosa di terribile, ma non ne è certa, tutti i suoi ricordi sono sfocati. Contempla la piccola quasi si aspettasse da lei una risposta, una rivelazione. Poi, un bagliore: ha quarantadue anni, ha abbandonato il bel marito che l’ha lasciata per un’altra e si è rintanata lì, in un appartamento spoglio, in un quartiere dov’è una straniera. Il giorno prima ha ucciso a coltellate il suo analista, incapace di alleviare le crisi di terrore di cui soffre, in segreto, da tre anni. Di quel che è stata – ambiziosa direttrice della comunicazione, moglie e figlia devota – non le resta che un nome, Viviane Élisabeth Fauville, regale e fragile relitto di un’esistenza inappuntabile, della scrupolosa obbedienza alle leggi dell’abitudine e della necessità. Certa solo del delitto che ha commesso, e del colpo di grazia che non potrà tardare, Viviane esce dai binari che guidavano il suo destino, si addentra in una Parigi oscura e parallela, affonda in un gorgo di insostenibile angoscia – sino all’esplosivo epilogo.


La recensione:

ll treno su cui salii era silenzioso, e ad ogni stazione sempre più fastidioso, frantumato esclusivamente dal fragore delle portiere che ad ogni fermata si aprivano e chiudevano. Sembrava fossi stata catapultata in un mondo in cui ogni entità umana fosse stata risucchiata da un cataclisma, un evento catastrofico, e l’unica superstite fossi io, che voleva mettersi in viaggio ma era anche desiderosa di scoprire anche la meta. Eppure di storie che portano e conducono dove si pare e piace, inaspettatamente, di questi tempi soprattutto, ne leggo a bizzeffe e ciò è legata alla libertà di fare di tale viaggio un espediente, un moto inarrestabile sull’anima che comporta spesso anche dinanzi a qualche conseguenza o rischio. Nel caso di questa storia, completamente sconosciuta se non mediante sollecito di una mia amica, sembrava mantenersi in quella barriera di distacco, il cui potenziale di violenza e caos sarebbe subentrato dopo. Scrivo subentrato perché da quel che mi era stato raccomandato, Viviane Élisabeth Fauville sembrava possedere tanto. La natura silenziosa, distaccata e riservata della protagonista, mista ad una buona dose di mistero, ammaliamento che suscitarono le sue pagine. Non la brutalità, né l’intelligenza se non la furbizia che è stata usata per scrivere questo romanzo. Stare sulle proprie, ma alle sue regole. Come un ente supremo e dominante, controllando sin dal primo momento in cui decisi di imbarcarmi in questa storia. Ma cosa avrebbe detto Julia Deck se avesse saputo che fra le pagine del suo figlio di carta non mi sono sentita completamente al mio posto? Ignara che nel mio cuore questo tipo di storie avrebbero sortito un effetto completamente poco attitudinale. Non sarebbe riuscita ad avere un posto speciale nei meandri della letteratura americana, se l’atto del descrivere l’allegoria di una forma violenta e suprema che predomina e subentra su ogni cosa si divide in passi rituali, concentrazione e autocontrollo. A fregare, a mio avviso, è stato il ritmo troppo serrato della narrazione di sfociare nel turbamento, nell’apprensione che alla fine sfumano con la consapevolezza che la scrittura è spesso un buon surrogato contro i rimedi del cuore e dell’anima. Non lasciando alcuna prova tangibile, che tuttavia si consuma in brutte sensazioni che non ci lasceranno mai. Sorvegliando la mente, lì, cercando di darci bella posta.

E niente e nessuno incapace di fermare tutto questo. Nessuno avrebbe potuto impedire ciò. Sebbene non sempre sia stata entusiasta di seguire o interpretare gli eventi, di cui la Deck ha enfatizzato privandoci di ogni autorità di intrusione. Attraverso la figura di una donna, una madre comune, restituisce ed elargisce un'immagine speculare della donna, il suo modo di comportarsi nel pensarla o concepire assieme alla sua metà: sua figlia. Ma, allo stesso tempo, ha abilmente mascherato e poi svelato al mondo chi era esattamente questa figura, così devastata dalla vita. Non sono stata così ingenua da non capirlo, ma nemmeno tanto crudele da trarne soddisfazione.

Articolata così in frasi spontaneamente esplosive, che dal momento in cui si intraprende questo viaggio ribollì di sdegno al pensiero di quanto la vita sia spesso ingiusta e malvagia, ho letto questo romanzo sorpresa di come l’autrice abbia trasformato in un trastullo esseri umani sofferenti come Vivianè solo per consentire a questa di vendicarsi. Era questo il vero e proprio messaggio? Attenuare una certa forza aggressiva e rabbiosa all’inclinazione della scrittura come surrogato per vivere con più serenità non sottovaluta tuttavia il suo essere poco avvincente. Ad un certo punto della lettura, non mi importava nient’altro che di “mascherare” Viviane.

Romanzo pregno di quell’idealismo più sfrenato che abbia mai prodotto la coscienza mediante letteratura. Non propriamente soddisfatta di scagliarmi contro un così ignobile atto, ma immaginare che ci sarebbe stata una via di salvezza senza speranza  - o forse no? - mi rese libera da ogni umana considerazione. Non potendo esserci, per chi legge, l’illusione più grande di questa: credersi furbi come l’autrice. In un marasma di parole che ci informa sin da subito di un segreto ancora non svelato, che in mani più sapienti sarebbe stato trasformato in un’accusa con la quale, compromettendo persino me stessa, mi avrebbe rovinata completamente.

Valutazione d’inchiostro: 3

4 commenti:

  1. Non ho avuto il piacere di leggere nessuno di questi libri e ti dirò di più ... Non ne ho mai neanche sentito parlare.
    Vabbè ci sono così tanti libri che è praticamente impossibile stare dietro a tutte le nuove stampe.
    Grazie mille per le recensioni.

    RispondiElimina

You can replace this text by going to "Layout" and then "Page Elements" section. Edit " About "
 

Sogni d'inchiostro Template by Ipietoon Cute Blog Design and Bukit Gambang