Titolo: Castelli di rabbia
Autore: Alessandro Baricco
Casa editrice: Feltrinelli
Prezzo: 8, 50 €
N° di pagine: 210
Trama: A Quinnipak c'è una locomotiva di nome
Elizabeth, la locomotiva del signor Rail. A Quinnipak si suona l'umanofono, lo
strumento del signor Pekish. Quinnipak è un luogo dove chi vive e chi ci arriva
ha una storia scritta addosso. Quinnipak è un luogo che invano cerchereste
sulle carte geografiche. Eppure è là.
La
recensione:
Da lontano, da dovunque, io non ho fatto che camminare verso quel punto
esatto, quel metro quadrato di legno posato sul fondo di un immenso bicchiere
di vetro. Lì, quel giorno, io sarò arrivato alla fine del mio cammino. Dopo...
tutto quello che accadrà dopo... non conterà più niente.
A volte, quando termino di leggere un romanzo, mi
capita di essere protagonista di strani eventi. Eventi in cui ogni minima parte
della mia anima diviene protagonista di svariate sensazioni, in cui riesco a
sentirmi esaltata per aver "visto" cose e persone che prima ignoravo
volontariamente in maniera completamente diversa.
Quando terminiamo di leggere un romanzo che ci
abbia entusiasmato sin dalle prime
pagine, l'effetto è sconvolgente. Anche se lascia una strana sensazione,
difficile da spiegare o addirittura sgradevole. E probabilmente quello che si
vuole scrivere lo si ha già saldamente ancorato a noi stessi. Tuttavia fatica a
uscire, come un omino timido che si è andato a nascondere in qualche stanza
segreta. Sappiamo che si nasconde laggiù, ma finché non viene fuori, è
impossibile acchiapparlo.
Attraverso la scrittura siamo consapevoli che non
esiste nulla che resti chiuso ermeticamente nel cuore di una persona. Quando si
pongono delle speranze, il cuore prende una strada tutta sua. E quando le
speranze vengono tradite, si cade nella disperazione, nello sconforto, che
insieme generano impotenza. Lo spirito incomincia a incrinarsi, e si abbassa la
guardia.
Con Castelli
di rabbia di Alessandro Baricco avevo l'impressione che accadesse qualcosa
di simile. Col passare del tempo, ero certa che la natura infruttuosa delle sue
storie mi avrebbero stancato. Stonando con le massime delle mie sensazioni,
così incomprensibili da indurmi a dimenticarle del tutto. Tuttavia, mai e poi
mai potrò dimenticare quanto successe. In un weekend autunnale in cui tutto mi
sembrava lontano, estremamente nostalgico e tedioso.
Camminando lungo i corridoi bui della mia anima,
aprendo uno dopo l'altro finestre su mondi oscuri e difficili da comprendere
cui pensavo di aver voltato le spalle, ogni volta che una nuova storia mi si
spalanca davanti, i brutti o bei ricordi che mi porto dietro dal mondo reale
cominciano a prendere una loro forma. Il mondo governato da lettere è per me un
nascondiglio legittimo e infinitamente sicuro in cui, come una serie di
silhouette che si stagliano nel buio, predominano un numero spropositato di
immagini, che rievocate prendono vita. Ombre scure che riescono a seguire le
mie tracce. Pesi che la realtà m'impone. Soffici nuvole bianche che vagano nel
cielo, che arrivano e se ne vanno come semplici ospiti di passaggio.
Quest'ennesimo incontro con Baricco evoca
immagini, l'una accanto all'altra, che per quanto io cerca di confrontarle,
sembrano perfettamente identiche. Vaghe, sfocate in cui a volte il bisogno di
comprensione è così grande che non ci importa cosa significhi esattamente o
quanto dovremo attenderlo in seguito. Il mondo sembra aver perso il centro
della realtà. I colori sono naturali, ma i dettagli sgraziati. Il flusso
insinuoso del tempo, che risulta difficile collocare nella psiche umana, su uno
sfondo rurale, si riesce a "vedere" ma non avvertire. Acute
riflessioni sulla vita, annotazioni sintetiche, quasi telegrafiche, che
testimoniano una mente consapevole della natura articolata e pluralistica del
mistero della psiche umana. Profonde concezioni che trasmettono una certa
malinconia, e che dilagano su diversi
fronti. Composte mediante una serie di note - su tasti di un pianoforte di cui
non si conosce la provenienza. Si riesce a sentirne il suono, ma non a
stabilirne la provenienza. Una storia per nulla semplice, che ha troppe note
dentro per trovarne una. Poiché inghiottite dall'infinito, come un granello di
sabbia ingoiato dalla spiaggia. Ti intestardisci a trovarla, ma sai che
potresti tentarci anche un'intera vita. Per capirla veramente, penso, bisognava
essere stati lì. In quel periodo, in quella realtà parallela. A bordo di un
treno che ha un suo posto speciale dove arrivare.
E' in questi momenti che, come spesso mi succede
quando assisto a fenomeni che vanno al di là dell'intelletto - quando il mondo
si esibisce in sinfonie particolarmente complesse, che sono certa non riuscirò
ad interpretare del tutto - assisto con ipnotica attenzione ciò che mi viene
svelato, con l'anima divorata da una sottilissima e febbricitante curiosità.
Dovetti aspettare qualche minuto per riconoscere la
provenienza di questa storia. Il suo rintocco, sprigionato sotto il putiferio
di un acquazzone, correndo lungo case di campagna, non mollando la mia anima
per un secondo se non quando giunse a Quinnipack. In questo paesino immaginario
in cui i personaggi appaiono senza anima, senza passato, senza colore e
identità. Uomini in viaggio su un treno che non c'è mai stato. Circondati dal
buco nero della notte, nella schiuma dei sogni, nella lucentezza delle stelle,
che inghiottisce ogni cosa. I colori. La felicità.
Figure dilaniate dal passato, con sempre maggior
frequenza. Soggetti a casini tremendi che affrontano con assoluta e radicale
impreparazione. Dilaniati dal passato, custodi di desideri nonché riparo alla
paura stessa. Apparentemente scherzi della ragione, tuttavia realistici.
Stagliati dinanzi al nulla, dinanzi all'infinito.
Creando una sequela di immagini poco chiare,
talvolta meravigliose che generano stupore, grumi di cose perdute o cancellate
che non riescono tuttavia ad arrivare negli occhi, quello che si avverte tra le
pagine di Castelli di rabbia è una
percezione a singhiozzo. Il risultato è una verità inconfutabile: il lettore si
porta dentro un vecchio narratore che, per tutto il tempo, ci racconta una
storia che non ha mai avuto un inizio ma ricca di mille sfumature. Un narratore
che riposa nelle viscere del giovane Mormy, che trasmette il suo dolore
addossandoci una certa stanchezza, e che riesce a far trapelare mediante
spezzoni di storie. La provenienza di questo sentimento penso derivi forse da
qualcosa di personale; dalla potenza di un emozione o magari proprio dalla
bellezza con cui Baricco si serve per raccontarci ciò che lo sopraffece.
Evidentemente, la continuità o monotonia della vita gli opprimeva lo stomaco. E
nel suo silenzio le parole sgorgarono dalla sua penna colmando questi buchi
neri della sua coscienza.
Ci sono certi che lo chiamano angelo, il
narratore che si portano dentro e che gli racconta la vita. Chissà come erano
le sue ali d'angelo.
Castelli di rabbia è un
saggio sulla vita, un libriccino dalla mole piuttosto ridotta che, nella sua
brevità, mi ha conquistata. Mi ha regalato delle piacevolissime ore in sua
compagnia, e fatto prendere consapevolezza che di Baricco non ne ho avuto
ancora abbastanza.
In due pomeriggi, all'insegna del tedio e
dell'insoddisfazione morale, un uomo dalla capigliatura brizzolata mi ha
raccontato una storia di cui ignoravo completamente l'esistenza.
Inconsapevolmente, mi ha aperto il cuore, con la storia di queste anime
inquiete e vagabonde. Allietando giornate uggiose e malinconiche, con la sua concezione
della lettura come una dolcissima
sporcheria, o della scrittura come possessione puramente incline a una
parte dell'umanità. E, cominciando a parlare come se stesse confidandosi con un
amico immaginario ed estraneo, rendendomi partecipe di una constatazione tanto
mera quanto vera: la vita è un casino
tremendo che, in linea di massima, si è chiamati ad affrontare in stato di
assoluta e radicale impreparazione.
La verità è che la gente più radicalmente non sa
di preciso neanche cosa deve ascoltare - la gente lascia la magia gli coli
addosso, al momento buono saprà cosa fare, questa è la verità.
Valutazione d'inchiostro: 5
Le tue recensioni mi convincono sempre! Credo proprio che lo acquisterò :)
RispondiEliminaGrazie, Katia ☺ vorrà dire che attenderó il tuo parere ☺
EliminaIo sono di parte, adoro Alessandro Baricco, anche se sono consapevole che a qualcuno il suo stile così particolare lo renda poco digeribile.... Tra tutti, resta in assoluto il mio preferito Oceano Mare.. tra l'altro solo pochi giorni fa ho dedicato un post sul mio secondo blog (http://cartolinedimetedinchiostro.blogspot.com/2018/05/donne-di-carta-ann-deveria.html) proprio ad uno dei suoi personaggi che più mi hanno colpito, Ann Deverià....
RispondiEliminaCastelli di Rabbia credo sia stato il primo suo libro che ho letto, ricordo che mi piacque da morire ed in assoluto la parte che più ho amato ( e che continuo a trovare geniale) sia la sua descrizione dell'incontro tra le due bande ed in particolare alla descrizione di una determinata "circostanza" relativa ad ogni personaggio... ora non voglio rovinare la sorpresa a chi non dovesse averlo letto, mi rendo conto di essere stata molto contorta ^_^.
Però ecco: quel passaggio lì, secondo me, è l'essenza geniale di Baricco, ed il motivo per cui resta negli anni uno dei miei autori preferiti.
Sono d'accordo con te, Letizia! Diciamo che io amo Baricco per tanti motivi: uno fra tutte, l'inspiegabilità di alcune scene, o le motivazioni ( senza senso ) di alcuni personaggi. Tutto ciò, assieme a tanto altro, sortisce un certo fascino. Ed io amo Baricco anche per questo :)
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