domenica, maggio 27, 2018

Gocce d'inchiostro: Castelli di rabbia - Alessandro Baricco

L'ultima volta che lessi Castelli di rabbia fui appassionata, stregata da qualcosa che sinceramente non mi aspettavo. Il mio amore per Baricco mi ha ricondotta nuovamente qui, e, con un certo orgoglio quest'oggi ve ne parlo come se stessi parlando di un caro amico. La certezza che in questi brevi incontri, cerco di perfezionare e sanare il corso di uno strano amore. Un amore che è nato senza che io me ne accorgessi, e che pian piano continua a crescere.











Titolo: Castelli di rabbia
Autore: Alessandro Baricco
Casa editrice: Feltrinelli
Prezzo: 8, 50 €
N° di pagine: 210
Trama: A Quinnipak c'è una locomotiva di nome Elizabeth, la locomotiva del signor Rail. A Quinnipak si suona l'umanofono, lo strumento del signor Pekish. Quinnipak è un luogo dove chi vive e chi ci arriva ha una storia scritta addosso. Quinnipak è un luogo che invano cerchereste sulle carte geografiche. Eppure è là.

La recensione:


Da lontano, da dovunque, io non ho fatto che camminare verso quel punto esatto, quel metro quadrato di legno posato sul fondo di un immenso bicchiere di vetro. Lì, quel giorno, io sarò arrivato alla fine del mio cammino. Dopo... tutto quello che accadrà dopo... non conterà più niente.

A volte, quando termino di leggere un romanzo, mi capita di essere protagonista di strani eventi. Eventi in cui ogni minima parte della mia anima diviene protagonista di svariate sensazioni, in cui riesco a sentirmi esaltata per aver "visto" cose e persone che prima ignoravo volontariamente in maniera completamente diversa.
Quando terminiamo di leggere un romanzo che ci abbia  entusiasmato sin dalle prime pagine, l'effetto è sconvolgente. Anche se lascia una strana sensazione, difficile da spiegare o addirittura sgradevole. E probabilmente quello che si vuole scrivere lo si ha già saldamente ancorato a noi stessi. Tuttavia fatica a uscire, come un omino timido che si è andato a nascondere in qualche stanza segreta. Sappiamo che si nasconde laggiù, ma finché non viene fuori, è impossibile acchiapparlo.
Attraverso la scrittura siamo consapevoli che non esiste nulla che resti chiuso ermeticamente nel cuore di una persona. Quando si pongono delle speranze, il cuore prende una strada tutta sua. E quando le speranze vengono tradite, si cade nella disperazione, nello sconforto, che insieme generano impotenza. Lo spirito incomincia a incrinarsi, e si abbassa la guardia.
Con Castelli di rabbia di Alessandro Baricco avevo l'impressione che accadesse qualcosa di simile. Col passare del tempo, ero certa che la natura infruttuosa delle sue storie mi avrebbero stancato. Stonando con le massime delle mie sensazioni, così incomprensibili da indurmi a dimenticarle del tutto. Tuttavia, mai e poi mai potrò dimenticare quanto successe. In un weekend autunnale in cui tutto mi sembrava lontano, estremamente nostalgico e tedioso.
Camminando lungo i corridoi bui della mia anima, aprendo uno dopo l'altro finestre su mondi oscuri e difficili da comprendere cui pensavo di aver voltato le spalle, ogni volta che una nuova storia mi si spalanca davanti, i brutti o bei ricordi che mi porto dietro dal mondo reale cominciano a prendere una loro forma. Il mondo governato da lettere è per me un nascondiglio legittimo e infinitamente sicuro in cui, come una serie di silhouette che si stagliano nel buio, predominano un numero spropositato di immagini, che rievocate prendono vita. Ombre scure che riescono a seguire le mie tracce. Pesi che la realtà m'impone. Soffici nuvole bianche che vagano nel cielo, che arrivano e se ne vanno come semplici ospiti di passaggio.
Quest'ennesimo incontro con Baricco evoca immagini, l'una accanto all'altra, che per quanto io cerca di confrontarle, sembrano perfettamente identiche. Vaghe, sfocate in cui a volte il bisogno di comprensione è così grande che non ci importa cosa significhi esattamente o quanto dovremo attenderlo in seguito. Il mondo sembra aver perso il centro della realtà. I colori sono naturali, ma i dettagli sgraziati. Il flusso insinuoso del tempo, che risulta difficile collocare nella psiche umana, su uno sfondo rurale, si riesce a "vedere" ma non avvertire. Acute riflessioni sulla vita, annotazioni sintetiche, quasi telegrafiche, che testimoniano una mente consapevole della natura articolata e pluralistica del mistero della psiche umana. Profonde concezioni che trasmettono una certa malinconia,  e che dilagano su diversi fronti. Composte mediante una serie di note - su tasti di un pianoforte di cui non si conosce la provenienza. Si riesce a sentirne il suono, ma non a stabilirne la provenienza. Una storia per nulla semplice, che ha troppe note dentro per trovarne una. Poiché inghiottite dall'infinito, come un granello di sabbia ingoiato dalla spiaggia. Ti intestardisci a trovarla, ma sai che potresti tentarci anche un'intera vita. Per capirla veramente, penso, bisognava essere stati lì. In quel periodo, in quella realtà parallela. A bordo di un treno che ha un suo posto speciale dove arrivare.
E' in questi momenti che, come spesso mi succede quando assisto a fenomeni che vanno al di là dell'intelletto - quando il mondo si esibisce in sinfonie particolarmente complesse, che sono certa non riuscirò ad interpretare del tutto - assisto con ipnotica attenzione ciò che mi viene svelato, con l'anima divorata da una sottilissima e febbricitante curiosità.
Dovetti aspettare qualche minuto per riconoscere la provenienza di questa storia. Il suo rintocco, sprigionato sotto il putiferio di un acquazzone, correndo lungo case di campagna, non mollando la mia anima per un secondo se non quando giunse a Quinnipack. In questo paesino immaginario in cui i personaggi appaiono senza anima, senza passato, senza colore e identità. Uomini in viaggio su un treno che non c'è mai stato. Circondati dal buco nero della notte, nella schiuma dei sogni, nella lucentezza delle stelle, che inghiottisce ogni cosa. I colori. La felicità.
Figure dilaniate dal passato, con sempre maggior frequenza. Soggetti a casini tremendi che affrontano con assoluta e radicale impreparazione. Dilaniati dal passato, custodi di desideri nonché riparo alla paura stessa. Apparentemente scherzi della ragione, tuttavia realistici. Stagliati dinanzi al nulla, dinanzi all'infinito.
Creando una sequela di immagini poco chiare, talvolta meravigliose che generano stupore, grumi di cose perdute o cancellate che non riescono tuttavia ad arrivare negli occhi, quello che si avverte tra le pagine di Castelli di rabbia è una percezione a singhiozzo. Il risultato è una verità inconfutabile: il lettore si porta dentro un vecchio narratore che, per tutto il tempo, ci racconta una storia che non ha mai avuto un inizio ma ricca di mille sfumature. Un narratore che riposa nelle viscere del giovane Mormy, che trasmette il suo dolore addossandoci una certa stanchezza, e che riesce a far trapelare mediante spezzoni di storie. La provenienza di questo sentimento penso derivi forse da qualcosa di personale; dalla potenza di un emozione o magari proprio dalla bellezza con cui Baricco si serve per raccontarci ciò che lo sopraffece. Evidentemente, la continuità o monotonia della vita gli opprimeva lo stomaco. E nel suo silenzio le parole sgorgarono dalla sua penna colmando questi buchi neri della sua coscienza.

Ci sono certi che lo chiamano angelo, il narratore che si portano dentro e che gli racconta la vita. Chissà come erano le sue ali d'angelo.

Castelli di rabbia è un saggio sulla vita, un libriccino dalla mole piuttosto ridotta che, nella sua brevità, mi ha conquistata. Mi ha regalato delle piacevolissime ore in sua compagnia, e fatto prendere consapevolezza che di Baricco non ne ho avuto ancora abbastanza.
In due pomeriggi, all'insegna del tedio e dell'insoddisfazione morale, un uomo dalla capigliatura brizzolata mi ha raccontato una storia di cui ignoravo completamente l'esistenza. Inconsapevolmente, mi ha aperto il cuore, con la storia di queste anime inquiete e vagabonde. Allietando giornate uggiose e malinconiche, con la sua concezione della lettura come una dolcissima sporcheria, o della scrittura come possessione puramente incline a una parte dell'umanità. E, cominciando a parlare come se stesse confidandosi con un amico immaginario ed estraneo, rendendomi partecipe di una constatazione tanto mera quanto vera: la vita è un casino tremendo che, in linea di massima, si è chiamati ad affrontare in stato di assoluta e radicale impreparazione.

La verità è che la gente più radicalmente non sa di preciso neanche cosa deve ascoltare - la gente lascia la magia gli coli addosso, al momento buono saprà cosa fare, questa è la verità.

Valutazione d'inchiostro: 5

4 commenti:

  1. Le tue recensioni mi convincono sempre! Credo proprio che lo acquisterò :)

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  2. Io sono di parte, adoro Alessandro Baricco, anche se sono consapevole che a qualcuno il suo stile così particolare lo renda poco digeribile.... Tra tutti, resta in assoluto il mio preferito Oceano Mare.. tra l'altro solo pochi giorni fa ho dedicato un post sul mio secondo blog (http://cartolinedimetedinchiostro.blogspot.com/2018/05/donne-di-carta-ann-deveria.html) proprio ad uno dei suoi personaggi che più mi hanno colpito, Ann Deverià....

    Castelli di Rabbia credo sia stato il primo suo libro che ho letto, ricordo che mi piacque da morire ed in assoluto la parte che più ho amato ( e che continuo a trovare geniale) sia la sua descrizione dell'incontro tra le due bande ed in particolare alla descrizione di una determinata "circostanza" relativa ad ogni personaggio... ora non voglio rovinare la sorpresa a chi non dovesse averlo letto, mi rendo conto di essere stata molto contorta ^_^.
    Però ecco: quel passaggio lì, secondo me, è l'essenza geniale di Baricco, ed il motivo per cui resta negli anni uno dei miei autori preferiti.

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    1. Sono d'accordo con te, Letizia! Diciamo che io amo Baricco per tanti motivi: uno fra tutte, l'inspiegabilità di alcune scene, o le motivazioni ( senza senso ) di alcuni personaggi. Tutto ciò, assieme a tanto altro, sortisce un certo fascino. Ed io amo Baricco anche per questo :)

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